Maurizio Meldolesi, neo premiato Marchigiano dell’anno. Quale è stato il tuo percorso da artista?
Da ragazzo fui accompagnato in alcuni musei olandesi dove scoprii Rembrandt. Anni dopo cominciai a praticare da autodidatta per capire meglio le modalità di esecuzione dei capolavori, affinando poi la tecnica tramite corsi all’Accademia di Belle Arti di Macerata ed altri workshops. La ricerca dei contenuti per le mie opere si è poi rivelato un grande viaggio introspettivo, che mi ha portato a conoscere tematiche che altrimenti non avrei mai affrontato.
Quindi ti ispiri agli artisti seicenteschi?
Mi ritengo un pittore caravaggista, non tanto per i chiaroscuri o la drammaticità dei soggetti, ma perché sposo il pensiero di Caravaggio di rappresentare solo ciò che è reale, che compongo e vedo di fronte a me nel mio studio, rifiutando le fantasie manieriste. Modello la realtà per raccontare le mie storie.
Ma non sono solo i seicenteschi ad ispirarmi, è tutta la grande arte, dalla preistoria passando per Giotto, De Chirico ed oltre. Ad esempio, con grande orgoglio a Venezia ho scoperto che alcune mie procedure compositive sono simili a quelle del grande Tintoretto. In pratica ammiro il modo di operare di tutti gli artisti rivoluzionari: Michelangelo, Leonardo, Tiziano ovviamente, ma anche un fotografo come Oliviero Toscani è una fonte di ispirazione.
Quali sono le tecniche che preferisci?
Senza dubbio l’olio su tela, su tavola di pioppo o, a volte, su lastre di rame. Tutti i supporti sono selezionati e preparati da me: è importante controllare tutto il processo creativo, al fine di realizzare un’opera di qualità e che possa rimanere inalterata per centinaia di anni. Per questo uso più possibile le stesse tecniche degli antichi maestri. Scelgo tele di lino delle Fiandre che poi monto su telai di abete rosso europeo, oppure tavole di pioppo grezzo che poi vado a preparare per ricevere la pittura. I primi dipinti li ho fatti con i colori acrilici, ma poi ho compreso di amare i profumi, le misture e la chimica della tecnica ad olio.
Un discorso a parte merita l’incisione, che ho praticato per lavori specifici come ad esempio un’asta di beneficenza che richiedeva delle opere in serie. Acquaforte, acquatinta e puntasecca, roba per artisti di gran carattere perché è una tecnica che non permette errori. Ancora una volta Rembrandt mi è servito da ispirazione.
Il tuo quindi è un iperrealismo.
Preferisco chiamarlo realismo, per diversi motivi. Infatti, chi mi dice “Belli i tuoi quadri, sembrano fotografie” in realtà non mi fa un complimento, mi fa capire che non è andato a fondo, non si è accorto che i miei soggetti in realtà nascondono vari messaggi. E spesso il mio messaggio è proprio questo: siamo troppo superficiali. La tecnica deve essere al servizio del contenuto, non il contrario.
Curiosi, 2012
Nel tuo curriculum parli di tecniche antiche: puoi parlacene?
Oltre ai supporti già citati, anche i colori e i prodotti ausiliari non devono discostarsi troppo da quelli della tradizione. Ad esempio, penso che non abbia senso risparmiare sui colori in tubetto, perché si perde la possibilità di realizzare determinati effetti, si ha una minore resistenza alla luce nel tempo, oppure l’opera potrebbe non asciugare bene. Per questo scelgo determinati produttori, alcuni dei quali lavorano ancora a mano. Prima di iniziare a lavorare all’opera compongo le tonalità con l’utilizzo di ulteriori olii e solventi: il mio “laboratorio alchemico” comincia ad animarsi.
In definitiva nei miei lavori tratto tematiche contemporanee utilizzando un linguaggio antico. È un genere di nicchia, che però mi ha permesso di essere invitato a fare mostre, oltre che a Roma, Venezia e Milano, ad Hong Kong, Parigi, Stoccarda, Praga. Ma è con le mostre personali che ottengo le maggiori soddisfazioni in termini di crescita personale. Ho trovato grandissimi amici in ognuna di queste mostre: in Belgio, Lussemburgo, Egitto, ma anche nei piccoli centri marchigiani come Monte San Martino, un vero scrigno di arte rinascimentale che invito tutti a visitare quando si viene nelle Marche.
La stampa parla spesso dei rapporti tra musulmani ed occidentali: com’è stata l’esperienza della mostra in Egitto?
Ho ricordi indimenticabili, l’accoglienza è stata di altissimo livello, con persone di qualsiasi religione che mi hanno dimostrato grande affetto. Con alcuni di loro mi sento regolarmente. Consiglio a chiunque di imparare a conoscere il prossimo prima di giudicare.
Tra i tuoi lavori ci sono anche opere installate in alcune chiese.
Certamente. Ed ogni volta che ne eseguo una è un viaggio non solo nella storia dell’arte, ma anche dell’uomo. E poi c’è l’emozione di vedere i fedeli pregare di fronte un mio dipinto, come nel caso della Madonna del Buon consiglio di Ascoli Piceno. Nel caso del San Francesco di Fabriano invece la mia intenzione era quella di coinvolgere l’osservatore stimolandolo a leggersi le storie del Santo. Ne è uscita un’opera dinamica e piena di significato.
Madonna del buon Consiglio, 2012, Ascoli Piceno.
Ad un certo punto però la tua produzione è cambiata. Come sei arrivato ai polittici?
Si, i contenuti sono cambiati, diventando più autobiografici. Il 2018 è stato un anno difficile dal punto di vista personale, tanto da dover rifiutare alcuni inviti a fare delle mostre, tra cui quella con gli amici della Associazione Famiglia Marchigiana di Rosario. In quel periodo la sera mi ritrovavo a vagare per il centro storico della città, con le antiche architetture che mi offrivano gli spunti per le nuove opere. Ecco perché i polittici del 2018 derivano da facciate di chiese medievali o da tavole di artisti rinascimentali.
Mi piace parlare della regione dove vivo, le Marche; in ogni opera ci sono riferimenti ai nostri bellissimi territori, pieni di storia, arte e soprattutto persone vere.
Riguardo i polittici, sono partito da immagini semplici come i personaggi dei cartoni animati, per richiamare l’attenzione in realtà sui falsi idoli imposti dalla comunicazione, invitando l’osservatore a svelare i messaggi da me inseriti su più livelli. Geroglifici, tatuaggi ed oggetti apparentemente fuori posto vanno mentalmente riordinati per decodificare il significato.
Trittico delle ambiguità, 2018
Nella didascalia di alcune opere si parla di realtà aumentata e di certificazione.
Stavo cercando un modo di rendere le mie opere più comprensibili, soprattutto le ultime perché sono molto criptiche, senza però tradire la mia tecnica ad olio tradizionale; qualcosa di innovativo ma non invasivo, insomma. La realtà aumentata è una tecnologia che permette di animare e rendere vivo il dipinto inquadrandolo con il proprio smartphone, arricchendo l’opera di ulteriore contenuto. L’obiettivo è quello di rendere fruibili tutte le mie opere anche attraverso questa applicazione.
Riguardo la certificazione, purtroppo ci sono stati casi di “furto intellettuale” nei confronti delle mie opere. Ho colto quindi l’opportunità dotandole di una certificazione ed un bollino anti-contraffazione in collaborazione con una società di Londra. I vantaggi sono molteplici: il collezionista è certo di avere l’originale e si tiene traccia di tutta la vita dell’opera, compresi gli eventuali passaggi di proprietà.
Polittico delle Inquietudini, 2018
Tornando alla tua carriera, abbiamo detto che di recente ti hanno nominato Marchigiano dell’anno.
Si, a maggio ho avuto l’onore di essere insignito di questo importante riconoscimento presso il Senato della Repubblica grazie al Centro Studi Marche di Roma, insieme ad altri personaggi importanti della cultura, l’imprenditoria, la medicina ed altri settori. Un premio che non mi aspettavo, ma che mi rende orgoglioso e mi dà lo slancio per proseguire il mio percorso e fare sempre meglio.
Prossimi progetti?
Sto lavorando con un’importante curatrice ad un evento che si dovrebbe tenere a Stoccarda il prossimo anno in occasione del quinto centenario della morte di Raffaello Sanzio, marchigiano come noi.
E poi sto per iniziare una nuova produzione di circa 15 dipinti basati su un’unica tematica.
Impossibile fermarsi.
Grazie Maurizio Meldolesi.